Bibliografia | E. Chiavoni- M. Docci (a cura di), Mole da Olio e mole da grano tra paesaggio agrario e archeologia industriale. Il sistema dei frantoi e dei mulini ad acqua nell'Alto Lazio: conoscenza e valorizzazione: 85-87.
- Gino Polidori, Quel mulino sul Crèmera. Mugnai, briganti, carmelitani e maceratori lungo le rive, Miligraf Edizioni, 2016
- Catalogo della Mostra Il Sorbo e La Valle del Crèmera (a cura del Comune di Formello e del Museo dell’Agro Veientano)
- A. Finocchi, Il nuovo volto delle campagne. Credito cooperativo e riforma fondiaria nel Lazio, Formello, Museo della civiltà contadina Casolare 311, 2012
- Cinzia Calzolari, Il Mulino ad Acqua di Formello, tesina elaborata per la Scuola di Specializzazione in Beni Demo-Etnoantropologici, Università Sapienza, Roma, 2017. | |
Note storiche | Costruito tra la fine del XIII e l'inizio del XIV sec. dalla famiglia Orsini, l'edificio fu in uso fino agli anni '40 del Novecento dagli abitanti di Formello e di Cesano. Si trova all'interno del Parco di Veio caratterizzato da un bosco misto di querce sulla sponda sinistra del torrente Valchetta (Crèmera) che, a monte della mola, scorre in un vallata di prati a pascolo. Vicino alla mola il torrente precipita in una cascata usata per prelevare l'acqua per canalizzarla. Alla mola si arriva attravreso un piccolo ponte di pietra situato a valle della cascata. L'edificio è posto su uno sperone roccioso elevato dal greto del fiume ed è composto da due corpi di fabbrica. Nel Catasto Alessandrino la mola è affiancata da un torre di cui attualmente non si comprende l'ubicazione. Il corpo verso il fiume mostra due livelli fuori terra costruito con blocchi di pietra irregolari, anche l'altra parte della costruzione doveva essere di due livelli di cui quello inferiore destinato alla molitura; parzialmente scavato nella roccia era coperto da una volta a botte. All'interno si conserva tuttora una macina di pietra. Al di sotto del piano di molitura si trovava il "carcerario" ad oggi non raggiungibile il cui ingresso ad arco si trova alla quota del torrente.
Silvio, l'ultimo mugnaio riportò in funzione il mulino nel 1930 proveniva da una famiglia che si era tramandata il mestiere del mugnaio da diverse generazioni. Dovette ricostruirlo interamente in quanto il primo mugnaio lo abbandonò a causa del primo conflitto mondiale.
I mulini ad acqua funzionavano con assi verticali rotanti azionati da pale ad elica che impattavano la corrente dell’acqua incanalata in percorsi di pietra, o con grandi ruote idrauliche immerse direttamente nella corrente del fiume; la parte inferiore dei pali rotanti, muniti di pale a cucchiaio, era fissata mediante un perno in ferro su una robusta trave ancorata sul fondo della grotta dove veniva incanalata l’acqua della cascata. La parte contrapposta arrivava al piano di sopra, e dopo aver attraversato la pietra circolare fissa, veniva innestata a quella superiore per mezzo di una nottula. La macina era composta infatti da due grandi ruote di pietra, perfettamente combacianti tra loro. Quella inferiore, poggiava su di un basamento, era fissata e aveva una forma convessa, mentre quella superiore, di forma concava, veniva fatta girare dall’albero di trasmissione. Entrambe erano incise da solchi elicoidali che permettevano la fuoriuscita del grano macinato. I cereali venivano fatti calare dalla tramoggia in un foro praticato sulla macina superiore, e da qui tra le due pietre per essere poi ritritato. Lo sfarinato prodotto veniva spinto dalla forza centrifuga verso l’esterno e quindi era raccolto. Il palo di trasmissione poteva essere regolato per dare maggiore o minore spazio tra le due macine al fine di scegliere la grana del prodotto finito.
Il mulino era un luogo di ritrovo, dove le persone passavano il tempo a pescare, lavorare, raccogliendo piante spontanee o seminando, di giorno, e la notte, nelle calde estati, ci si intratteneva con i racconti dei briganti, gli eroi del popolo, sul ritmo dell’ottava rima. Per secoli la “Mola” è stata anche un luogo di incontro e ha tessuto un intreccio di storie, tra agricoltori, briganti, frati carmelitani e maceratori di canapa. Dal borgo ci si recava nelle vallate attorno al mulino pure per raccogliere i frutti spontanei nelle radure e nel bosco, dai funghi alle nespole, o per cacciare lepri, fagiani e ranocchie. Sulle rive del Crèmera venivano inoltre raccolte alcune erbe palustri, le cui foglie essiccate servivano per impagliare sedie o tamponare le botti tra una doga e l’altra. Proprio tra il santuario e le valli, ogni primavera gli allevatori formellesi e campagnanesi si sfidavano nella gara del solco dritto, un’antica tradizione che ritualizzava la secolare rivalità delle due comunità. Ma i boschi e i canneti attorno al mulino erano rifugi ideali anche per le bande di malfattori che attendevano i pellegrini sui tratti della via Francigena per rapinarli delle povere cose necessarie a un così lungo viaggio verso Roma. | |