Nome mulino | Mola della Refóta | |
Regione | Lazio | |
Provincia | Roma | |
Comune: | Anticoli Corrado | |
Indirizzo | ||
Tipologia | Acqua | |
Attivita | Farina di cereali | |
Proprieta | Sconosciuta | |
Info proprietà | ||
Stato | In disuso | |
Visitabile | Si | |
Ospitalita | No | |
Bibliografia | F. Giacinti-P. E. Simeoni, I mulini di Anticoli Corrado, in F. Fedeli Bernardini-P. E. Simeoni, Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell'Aniene, Leonardo-De Luca Ediori, Roma, 1991: 75-78. | |
Note storiche | Vi erano due mole ad Anticoli Corrado: la Mola della Refóta e la Mola Nova. Ambedue funzionavano secondo il sistema a "retrècine" comune a tutta l'area: si fondava sul principio dello sfruttamento dell'energia idraulica attraverso una ruota di legno di quercia in cui erano incassati dei "cóppi" (chucchiai o palette) di legno che raccoglievano la spinta dell'acqua per trasmetterla all'albero, sistema detto anche a "turbina". La turbina della mola della Refóta era però tutta in legno, mentre quella della Mola Nova era sia in legno che in ferro. La Mola della Refóta constava di un solo ambiente, successivamente diviso, anche per maggiore diversificazione delle funzioni. Nei primi anni '90 del Novecento si presentava con un seminterrato con un tetto a unico spiovente, in parte simile alla tipologia delle stalle-fienile. Aveva un unico "palmento" per il mais, le fave, l'orzo, ecc. Un enorme vascone a monte della mola , la "refóta", fungeva da serbatoio dell'acqua. Il flusso d'uscita era maggiore di quello d'entrata, il che comportava, d'estate soprattutto, l'inconveniente di poter lavorare al massimo solo due ore al giorno perché occorrevano d'altra parte 12 ore per riempire la vasca. Le mole erano di proprietà del principe Brancaccio e venivano date in affitto ai mugnai che dovevano provvedere a tutte le spese della manutenzione del mulino. La precarietà del suo contratto d'affitto li sottoponeva ai vincoli di dipendenza feudale. Il mestiere di mugnaio si tramandava di padre in figlio : la famiglia D'Andrea era affittuaria delle mole di Anticoli da almeno tre generazioni. Marito e moglie facevano i turni di lavoro di 3 o 4 ore ciascuno. Il mugnaio veniva pagato L. 1,50 per 1 quintale di grano macinato per il quale occorrevano circa 2 ore di lavoro; si usava anche versare per il mugnaio dai 300 ai 500 grammi di farina in un apposito recipiente; ma vi erano dei contadini che pagavano solo in natura. Al mulino venivano tre o quattro paesi dei dintorni; esisteva una forte rivalità tra mugnai che “lavoravano a rotta di collo per niente” pur di mantenere la propria clientela. |