è l’atto (e l’effetto) dell’operazione con cui si scavano o si ripristinano, rendendole profonde e “aguzze”, le facce da segnare o già segnate da canali, scanalature o solchi delle macine sia nuove, sia già in opera e divenute “stanche” per l’usura. Nel caso della riaffilatura, essa era in genere eseguita dal mugnaio (o da una persona specializzata) che, allontanata la tramoggia, procedeva al capovolgimento della macina superiore mobile (coperchio) operando in due modi diversi: nei casi più semplici si spostava il coperchio con leve, zeppe di legno e rulli fino a metterlo in bilancia su un bordo della macina dormiente, ribaltandola infine su un opportuno supporto rigido (treppiedi o cavalletto o altro ancora); oppure, se il mulino era più aggiornato, si procedeva all’operazione servendosi di una speciale piccola gru detta mancina, la quale, con un particolare dispositivo a due bracci desinenti in una specie di mandibola, agganciava la macina rotante in fori preordinati e contrapposti, ricavati sulla sua bassa superficie laterale, la sollevava e la spostava lateralmente, lasciandola pendere verticalmente o calandola su un panchetto (ma le modalità diverse sono numerose).
Appena questa macina era stata sistemata per lo più rovesciata o posta in verticale, iniziava la aguzzatura sia del fondo (o macina dormiente), sia del suo coperchio, procedendo di solito dalla periferia verso il centro. Finita l’operazione il coperchio veniva rimesso sul fondo dopo aver opportunamente “centrato” e messe a livello le macine L’addetto a tale lavoro di aguzzatura impiegava particolari martelli o martelline di ferro con teste a punta o a scalpello o a doppia penna, oppure il picchiotto, o la mazzetta o altri strumenti ancora (come spazzole, punte di ferro). Si veda pure rabbigliatura.