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  • Mulino_Culcasi_TP Foto di Cusenza G.
  • MulinoGermolli LU, foto di E_Albiani_
  • Mulino Germolli, Foto di E. Albiani
  • Mulino Cima Sappada  Foto  di S. Zanetti
  • Vecchio Mulino PV1, Foto di Roncato L.
  • Barcarolo_Enrico_Mulinetto_della_Croda_TV
  • Mulino natante di Revere
  • Mulino Scarbolo
 
            Mulini manuali
 

I MULINI MANUALI

Macine rotatorie a mano, dette anche "macinini del farro". Appare probabile (Sebesta 1997) che proprio dall'ultima variante di "levigatoio a tramoggia" appena considerata, sia nata l'idea di ampliare via via il settore di circonferenza percorso dal "macinello-tramoggia", fino alla rotazione completa, dando così origine alla "macine rotatorie" cilindriche spinte a mano. Ciò sarebbe avvenuto ancora nel IV secolo a.C. nel mondo greco o ellenizzato, anche se tentativi sono stati individuati altrove.

Per quanto riguarda l'introduzione delle "macine rotatorie" nell'Italia centro-meridionale di età romana, Plinio (nat. hist. 36,135-136) afferma che Varrone indicava tali molae versatiles come invenzione della città di Bolsena (in un periodo anteriore al 265 a.C.), anzi alcune di esse si sarebbero prodigiosamente mosse anche da sole: ad ogni modo, continua Plinio, le migliori pietre molari (e non rocce) si troverebbero proprio in Italia (soprattutto nell'Etruria centro-meridionale).

I MULINI CON MACINE ROTATORIE

L'energia motrice che fa ruotare la macina superiore o corrente può essere data o da un uomo (mulino a mano), o da un animale, (per lo più un asino/a o un cavallo) che si muove in cerchio (mulino animale o a maneggio o mola asinaria), o dall'acqua (mulino ad acqua) o dal vento (mulino a vento).

La forza motrice può essere utilizzata in mdo "diretto" oppure "per trasmissione meccanica". Quest'ultima soluzione si adotta, ad esempio,  quando il numero di giri della ruota idraulica è inferiore al numero di giri ottimale della macina. In tal caso si utilizzano trasmissioni del moto tramite ingranaggi o cinghie con pulegge.

macine

                                                                                                levigatoio egizio

                                                                                                               IL LEVIGATOIO

 

Per giungere a una farina abbastanza raffinata e al tempo stesso per evitare che troppi grani schizzassero via durante la "pilatura" nel mortaio, si giunse ben presto al "levigatoio". Esso in sostanza non era altro che uno strumento arcaico di macinazione formato da una lastra di pietra con superficie inferiore piana e superficie superiore a conca, a sella, o con margini rialzati, che serviva da "base" fissa: su questa poi, con una pietra tondeggiante a forma di sasso rotondo o di pagnotta, o di rullo, detta "macinello", le cariossidi di grano venivano schiacciate, spostate e spappolate, trasformando i grani parzialmente spezzati in farina. Tale operazione avveniva impiegando una o due mani, stando di solito in ginocchio ed era una dura occupazione propria soprattutto delle donne: si procedeva non solo andando avanti e indietro, ma soprattutto ruotando il macinello, facendo pressione con il peso del corpo. L'uso del levigatoio, per evitare sforzi eccessivi, era di solito preceduto dalla "pilatura" dei grani, operazione precedentemente descritta, che era in genere affidata a uomini, come abbiamo precedentemente detto. In realtà il "levigatoio" appare ormai come l'antefatto della macina a due palmenti. Tale strumento di macinazione è ampiamente testimoniato nell'antico Egitto; l'operazione era quotidiana e normalmente era affidata alle schiave, come confermano le fonti scritte e figurate.

Il levigatoio a tramoggia

Una notevole innovazione tecnologica, avvenuta nel V secolo a.C. prima in Grecia e poi nell'area mediterranea (ma destinata a durare fino ai nostri giorni) è pure la "tramoggia" applicata al levigatoio, garantendo alle superfici macinanti una continuità più o meno regolare di alimentazione di granaglie. In realtà si tratta di un particolare tipo di "levigatoio", in cui il "macinello" (o pietra macinante superiore) venne prima ad avere un foro centrale (piuttosto irregolare e slargato) capace di accogliere il grano, poi finì per assumere una forma regolarizzata in cui la pietra molare presentava una cavità "a tramoggia" che si apriva verso una fessura longitudinale mediana posta in basso: si creava così un invaso per le granaglie con "bocca" superiore rettangolare ("macinello-tramoggia").

In seguito si ebbero dei perfezionamenti: prima si praticarono sulle facce minori del "macinello-tramoggia" degli incassi mediani per l'applicazione di un manubrio da azionare a due mani, poi si passò ad un "macinello-tramoggia" azionato da una leva.

Questa aveva un'estremità fornita di un perno snodabile fissato al piano del levigatoio, mentre l'altra estremità stava a una congrua distanza dal levigatoio, permettendo ad una persona di azionare il "macinello-tramoggia" che in tal modo andava avanti e indietro percorrendo un settore di circonferenza.

Di grande interesse invece è la presenza di scanalature o di solchi geometrici sulle facce a contatto dei levigatoi a tramoggia di porfido o trachite (ma non di roccia lavica) rinvenuti già nella Grecia di età classica e poi via via divenuti sempre più frequenti nei secoli successivi: tali solchi passarono in seguito sulle facce a contatto delle macine rotonde di quasi tutti i mulini, dove assunsero forme per lo più regolarizzate.

 
 IL LAMINATOIO E IL MULINO FABBRICA

 

Una rivoluzione decisiva nella storia del mulino per cereali ha avuto inizio quando alle millenarie macine a due palmenti si sono sostituiti i laminatoi, per di più azionati da macchine a vapore o da motori mossi con l'elettricità: è stata la fine del mulino antico e dei suoi meccanismi supercollaudati.

Un laminatoio embrionale di ferro con piccola tramoggia e funzionante a mano (il primo in assoluto) era stato descritto da Agostino Ramelli ancora nel 1588 (Ramelli 1588), ma esso non ebbe seguito. Poco sviluppo ebbero alcuni tentativi avvenuti nel Settecento in Inghilterra e in Francia.

Si dovette attendere l'anno 1821, perché questa geniale intuizione prendesse corpo in Svizzera (ma è nell'anno 1832 che qui si dà inizio a una sicura macinazione). Tuttavia fu soltanto dopo una serie incredibile di trasformazioni e di perfezionamenti quasi sempre "brevettati", avvenuti soprattutto tra gli anni 1870-1880 (particolarmente importanti furono quelli di Friedrich Wegmann nel 1873 e nel 1874), che si giunse alla vera e propria "macinazione a cilindri". Questa, tra l'altro, mostrò subito di presentare numerosi vantaggi rispetto a quella "a macine": velocità, grande produzione, logoramento scarso, manutenzione poco costosa, facilità di esercizio, poco spazio per la macchina, farine più fini, lieve surriscaldamento.

                    mulino moderno


Il laminatoio in sostanza era costituito di due rulli (prima di porcellana e poi quasi sempre di ghisa) a superfici lisce o rigate, che accostati e girando in senso contrario riducevano le granaglie nella granulazione richiesta, dopo che queste erano giunte nell'interspazio voluto tra i due corpi rotanti.

Come ben si vede in questa macchina era scomparsa la millenaria rotazione orizzontale delle macine antiche che offriva una macinazione "bassa", "rapida" e "a fondo": il lento giro delle macine frantumava tutto, dando un miscuglio di farina, crusca e cruschello che poi neppure un perfezionato buratto riusciva a dividere, per cui la farina presentava sempre delle impurità.

Tanto più che tale operazione era relativamente facile per i grani teneri, ma riusciva con difficoltà per i grani duri, per cui questi venivano preventivamente sottoposti a bagnatura, con gravi rischi per la successiva conservazione delle farine.

Con il laminatoio invece la rotazione dei rulli era verticale e lo schiacciamento con relativa frantumazione delle granaglie avveniva gradualmente (passando cioè più volte tra due rulli), sicché la macinazione era "alta", "tonda", "graduale o progressiva", permettendo, nei vari passaggi, di togliere gradualmente e senza surriscaldamento la crusca e il cruschello, per dare poi una farina pura e notevolmente più conservabile.

La straordinaria quantità di farina che il nuovo sistema di macinazione preparava in poco tempo portò poi a rivoluzionare le possibilità di stacciatura del buratto, per cui dopo vari tentativi, si giunse al "Plansichter" (inventato nel 1887 da un mugnaio ungherese), un sofisticato buratto industriale che attraverso un doppio movimento di rotazione e oscillazione (unitamente a un efficiente sistema di veli-setacci) riusciva a "classificare le farine", suddividendole secondo la grossezza dei granelli.

La moltiplicazione dei laminatoi e dei Plansichter in uno stesso mulino, la grande quantità di grano consumata, la rapidità di lavorazione, la presenza di cinghie di trasmissione sia per trasportare il grano sia per farlo salire e scendere dall'alto (per mezzo di elevatori a tazze) nei vari laminatoi e Plansichter (permettendo di alternare rimacinature con burattature), le macchine a vapore o elettriche utili per il loro funzionamento, furono tutte concause che obbligarono ad abbandonare il tipico mulino del passato, posto in genere su due o tre livelli e di proporzioni piuttosto modeste, per dar vita a costruzioni molto più imponenti e a più piani, con depositi e silos di vario genere, veri propri mulini-fabbrica a livello industriale, come ben presto mostrarono di essere i Mulini Certosa di Pavia (fig. 13) e il famoso Mulino Stuckj di Venezia, che dà sul Canale della Giudecca, costruito, a partire dal 1895, dall'architetto Ernest Wullekopf con impronta tipicamente nordi'ca di gusto neogotico e considerato sulla fine dell'Ottocento come "il più bel molino" di tutta Italia (oggi in fase di recupero, ma con altra destinazione).

La storia dell'evoluzione del mulino industriale non è comunque finita: innovazioni continue nelle macchine e nei sistemi di funzionamento e di controllo con mezzi elettronici sempre più sofisticati sono ormai impiegati dai maggiori mulini industriali in ogni parte della terra.

    

                     mortaio egitto                                                                                IL MORTAIO

 
Dal mortaio preistorico alla mola asinaria romana

La ricerca archeologica ha dimostrato come le tecniche di frantumazione e macinazione delle granaglie risalgano almeno all'età neolitica (se non prima ancora) e come la macina storica a due palmenti rotondi azionata dalla forza dell'uomo o di un animale, cioè la mola asinaria romana, debba essere considerata come il punto d'arrivo di un lungo processo di ricerca e di prove avvenute lungo millenni.

Il mortaio

Metodi rudimentali di pestatura e di schiacciamento dei cereali o delle granaglie in genere mostrano di essere presenti ancora in età neolitica (ma recenti rinvenimenti risalgono anche ad epoche anteriori).

La macinazione avveniva attraverso uno strumento di legno (ma in seguito anche di metallo), cioè di un paletto indurito nella punta inferiore (il pestello) che pestava in un contenitore cilindrico o a tronco di cono di legno o di pietra (il mortaio), scavato "a scodella" al suo interno e con pareti rilevate allo scopo di impedire ai semi di schizzare via durante la pestatura.

 

                         mortaio

 

Con l'operazione della pestatura in un mortaio, i cereali si spezzavano, perdendo anche l'involucro o pericarpio che li circondava e le loro cariossidi così spezzate, se inumidite, potevano già entrare nell'alimentazione quotidiana.

Nel Lazio arcaico, ad esempio, prima dell'introduzione del pane si mangiava la cosiddetta puls, una farinata o polenta di farro o miglio lavorata con latte o acqua, ignota ai Greci (Plin. nat. hist. 18, 83-84).


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